giovedì 20 giugno 2013

LE "PANELLE"


Oggi fa tantocoolandare in giro per il mondo a provare lo street food - il cibo di strada - padre naturale del più moderno fast-food. Inutile dirvi che in Sicilia, dove siamo sempre avanti, lo facciamo da secoli: il fast-food, praticamente, lo abbiamo inventato noi. Lo so, starete pensando che sono una campanilista terrona, un’estremista del pensiero terrone… Be’, forse un fondo di verità c’è, la certezza però sta nel fatto che io amo follemente la mia terra e soprattutto la mia città: Palermo, una vecchia signora sdraiata tra un monte (Pellegrino) e il mare, nobile, indolente, magnifica nonostante i marcati segni del tempo, che ancora emana una forte aura, memoria dei suoi splendori liberty e di tutta la sua antica storia.

Ma prima che attacchi un malinconico trattato di infinite pagine sulla bellezza di Palermo, torniamo al cibo di strada. Inutile chiedervi chi ce lo ha lasciato in eredità perché la risposta è quasi retorica: gli Arabi. Proprio nella ricetta delle panelle però si ravvisa anche l’influenza dei francesi, pare infatti siano stati gli Angioni ad introdurre il panormita alla frittura. Le panelle insieme ai “cazzilli” (crocché di patate dall’inconfondibile forma da cui prendono il nome) formano uno dei binomi più riusciti nella storia della gastronomia tradizionale.Manciarisi‘u bellu pani chi panielli e i cazzilli” è per il palermitano una soddisfazione – anzi come direbbe qualcuno “una soddispazione”, il grupposf in palermitano si trasforma insp– insieme a tante altre leccornie del genere street food: pani ca’ meusa, stigghiole, frittola, sfincionello, arancine con tutto il seguito della sua famiglia, la “rosticceria”. Le caratteristiche del cibo da strada palermitano sono essenzialmente due: la prima è che “se non ti ungi almeno le mani” stai affrontando male la battaglia; la seconda, deve essere “abbannìato”. L’urlo sincopato del venditore panormita è una delizia per le orecchie dei passanti, attratti da lui come Ulisse lo fu dalle sirene. Come dire, insomma, che non è solo il gusto del cibo a dare a queste prelibatezze culinarie l’intenso sapore.
Bando alle ciance da campanile, ecco la ricetta di queste sfiziose frittelle di farina di ceci.
Ingredienti:
500 gr. di farina di ceci; 1, 5 l. d’acqua; 2 cucchiaini da caffè colmi di sale; pepe q.b.; prezzemolo; finocchiu ‘ngranatu (grani di finocchietto selvatico) facoltativo; olio di semi per friggere.
Procedimento:
Porre la farina di ceci in una pentola capiente e, versando l’acqua fredda a filo, scioglierla. Sbattere il composto con una frusta (oppure frullarlo qualche secondo con il frullatore ad immersione) eliminando tutti gli eventuali grumi, aggiungere il sale e il pepe. Mettere la pentola sulfuoco e lasciare cuocere a fiamma media, mescolando continuamente, fino a quando non diventerà una densa polenta. Continuare a cuocere per altri 5 minuti circa, la polentina dovrà sfregolare sul fondo, aggiungendo il prezzemolo tritato (e “u finocchiu ‘ngranatu”,se lo si gradisce). Spegnere e, aiutandosi con il cucchiaio di legno, versare il composto in un grande contenitore precedentemente bagnato all’interno con dell’acqua o unto con un po’ di olio di semi (prima dell’avvento della plastica, si usavano allo scopo le latte dell’olio di semi). Lasciare raffreddare completamente, sformare il panetto di ceci e tagliarlo in modo da ottenere delle fette di circa 2-3 millimetri di spessore: si devono realizzare dei rettangoli di una dimensione tale da poter essere comodamente messi all’interno dei panini. Friggere le panelle nell’olio ben caldo per pochi minuti, avendo l’accortezza di farle dorare da entrambi i lati. Estrarle con la schiumarola e metterle in una piccola teglia con della carta paglia. Salare ulteriormente e scuoterle per eliminare l’unto in eccesso e far distribuire bene il sale.

Non resta che prenderle e portarle alla bocca, natùre o con un po' di sale e limone, dentro il pane o da sole: “e biri chi manci”!!!


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