lunedì 11 novembre 2013

"L'attesa" di Monica Cecere


Preparava tutto con cura facendo attenzione ai dettagli. Lo stava aspettando; e più si avvicinava il momento di rivederlo e più saliva l’ansia ed aumentava l’eccitazione. Mancavano poche ore e finalmente si sarebbero rivisti dopo mesi.
Si era alzata presto quel giorno e cominciato a cucinare per la cena. La cucina ha bisogno di tempo, come l’amore.
Involtini di salmone fresco e ricotta con lo zenzero; pappardelle con i funghi porcini freschi che aveva raccolto il giorno prima in montagna; maiale ai frutti di bosco e speck; insalata di finocchi ed arancia; Dolce Norma. Lo aveva inventato lei il dessert. Lo descriveva come la trasposizione dolce della famosa pasta siciliana. Uno strato di scorze di cannolo rotte, uno di crema di ricotta poco zuccherata, un altro di scorze, poi la composta di melanzane inventata da lei e di nuovo scorze e ricotta per finire con una marmellata di pomodoro e pepe nero. Tutto guarnito con una foglia di basilico. Coccole per il palato.
Il piacere della tavola che preparava a quello del talamo. Sinestesie sensoriali e godimenti carnali. Immaginava già l’andamento della serata e le veniva l’acquolina in bocca pregustando la cena e il dopo. Be', forse non sarebbero neanche arrivati alla tavola, come l’ultima volta. Le piaceva fare l’amore con lui. Non era solo un’unione di corpi, non era solo uno scambio di umori e di liquidi. Era condivisione di anime, l’alchimia perfetta. La sua pelle diventava uno spartito su cui lui scriveva le sue note preferite diventando autore di armonie suggestive. Niente di preordinato però, così come nel jazz le note arrivavano improvvise come espressione della vita.
Già le sei del pomeriggio, oddio manca solo un'ora. Devo muovermi, pensò entrando in fibrillazione. Doveva ancora pulire ed affettare i finocchi e l’arancia, fare la crema di ricotta, sistemare le candele, scegliere la musica ed apparecchiare la tavola. Sapeva già come, ma aveva bisogno di tempo e voleva che tutto fosse pronto, che nulla avesse potuto distogliere l'attenzione dalla sua presenza. Guardò l’orologio, le sei e mezza. La tavola era perfetta e il vino già nel decanter. Ora doccia e… Il campanello? No, non può essere. E' in anticipo. Mi devo ancora lavare, vestire, truccare.
Altro suono di campanello… Porca miseria, tutto perfetto tranne lei.
Pazienza, devo aprire. Non posso mica lasciarlo fuori dalla porta. Dai, su corri, chi se ne frega dell’odore del cibo nei capelli, vai riabbraccialo.

Che incubo! Mi sono svegliata di soprassalto. Paura. Cuore agitato. Vene che martellano sulle tempie e nella gola. Apro gli occhi, ma ho ancora quelle immagini davanti. Quegli uomini. Sento ancora le loro voci sussurrare parole incomprensibili e la sensazione di angoscia di essere impotente. Accendo la luce, il cuore non si calma. Dai non c’è nessuno mi ripeto nella testa. Il vento forte fa sbattere le finestre della vecchia casa. Ancora le immagini. Le vene pulsano, il sangue scorre agitato. Freddo. Rosso. Ma cos'è quel rivolo rosso che cola dalle scale?

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