venerdì 17 aprile 2015

"I brindisi" di Maria Teresa Camarda

Meno male che sui giornali e in televisione i medici dicevano che un bicchiere di vino bevuto a tavola fa bene, perché se anche avessero detto il contrario, lei non avrebbe potuto rinunciarvi comunque. Quanti brindisi si fanno nel corso della vita! Ancora oggi Teresa, che viveva sola nella sua vecchia casa nel centro storico di Palermo, continuava a sollevare il bicchiere prima di bere il primo sorso. E ogni giorno, a pranzo e a cena, quello stesso sapore, corposo e profumato del suo vino rosso preferito, le ricordava momenti piacevoli e occasioni diverse della sua vita, che sì erano solo nella sua testa, ma animavano i suoi pasti solitari meglio di una banale fiction.
Questo gioco privato, che non aveva bisogno di dadi, pedine o carte, ma soltanto di un bicchiere di vino per stimolare la sua zeppa memoria di ottantenne era, però, come un coltello con una lama a doppio taglio. Per esempio, quando anche l’ultima goccia di champagne del suo matrimonio, vivido come fosse reale tra quelle quattro mura scrostate, era stata consumata e la porta della suite nuziale si era chiusa alle spalle dei novelli sposi, cosa restava a Teresa? Il sapore amaro di un uomo che non aveva saputo amarla e che, dopo aver scoperto di non saper fare nemmeno il padre, oltre che il marito, l’aveva abbandonata e cancellata, come una traccia poco robusta di gesso su una lavagna. Ma Teresa non avrebbe smesso per questo di giocare, convinta che un certo aroma di fiele facesse parte dei sapori della vecchiaia.
Un giorno di settembre, caldo come fosse un giorno d’agosto di quando lei era bambina, dopo pranzo, si sedette in soggiorno a sorseggiare divertita un bicchierino di zibibbo. Quella mattina, infatti, il suo rivenditore di fiducia di vino sfuso le aveva regalato una bottiglietta di quel vino dolce e liquoroso che non beveva ormai da tantissimi anni. Lo assaggiò bagnando soltanto un po’ le labbra e raccogliendo con la punta della lingua il sapore. Era più buono di quanto ricordasse.
Ting. Un altro brindisi, ma la memoria stavolta aveva maggiore difficoltà a recuperare le immagini. C’era qualcosa che opponeva resistenza, difficile da vincere, come la regina in una partita di scacchi. Teresa si sforzava, sentiva che era importante, lo percepiva sulle papille gustative invase dallo zibibbo.
Un tavolo in un vicolo. Il nostro tavolo. Due bicchieri. Uno è grande, panciuto ed è pieno di vino rosso. È il mio. Un bicchiere più piccolo, capovolto; no, è uno strano bicchiere orizzontale. È pieno di un liquido chiaro. È zibibbo. Una mano prende il bicchiere e lo porta alle labbra; deve bere un gran sorso per poter mettere il bicchiere nella giusta posizione senza che il contenuto scivoli via. Quella mano, quelle labbra... eccolo! Teresa lo aveva ritrovato. Quel tavolino nel vicolo era adesso reale nel suo soggiorno. E seduto c’era Lui. Con i suoi profondi occhi scuri, che conquistavano il mondo con uno sguardo caldo, penetrante, avvolgente. Il suo amore di gioventù. Il suo unico amore. Il solo uomo che possedeva la sua ala mancante.
Allora erano stati separati dall’ingenuità, dall’inesperienza, dall’astuzia, dalla paura. Dal tempo e dal luogo. Forse dal destino.
Teresa, seduta ancora una volta in quel vicolo, rapita da quello sguardo, era di nuovo immersa in quella meravigliosa sensazione di completezza. Chissà, magari il fiele non avrebbe macchiato i suoi sapori nella vecchiaia se da quel giorno, dal giorno in cui Lui era entrato nella sua vita, le avessero permesso di vivere la vita così come naturalmente per lei, per loro, andava vissuta.

Chiuse gli occhi e smise di respirare. Decise di restare lì, dove aveva sempre saputo di dover essere.

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