Che ci fossero quaranta gradi all’ombra o il vento di
tramontana che taglia la faccia, lui arrivava sempre con la sua vecchia
bicicletta nera. Ne scendeva lentamente e la legava con la catena al piccolo
palo del lampione che avevamo sotto casa.
Aveva ottant’anni lo zio Giulio. Era uno dei fratelli di mio
nonno, un uomo alto, ligneo e parlava poco e lemme. Sorrideva spesso. Aveva un
sorriso strano però. Mostrava tutti i denti, però li teneva stretti come se
ringhiasse. Io lo ricordo sempre vecchio, ma con una forza fisica incredibile
per un uomo della sua età.
Lo vedevo arrivare dalla finestra, lo aspettavo perché ogni
volta che veniva a casa nostra ci insegnava a preparare delle vere leccornie
palermitane. E in un lontano mese di dicembre imparai a fare il buccellato: un
bauletto di friabile pasta frolla che nasconde un ripieno morbido di frutta secca, cioccolato fondente, agrumi
e spezie. Un dolce rustico ma degno di re e regine, tanto che nel medioevo i
vassalli lo omaggiavano ai signorotti (per chi fosse interessato alla storia del
buccellato si veda: Taccuini Storici).
Si prepara per le feste natalizie in tutto il palermitano,
ma la “conza” - il ripieno, per i
non oriundi - varia a seconda della località in cui viene prodotto: con i
fichi, con l’uva sultanina, con la composta di zuccata e mandorle, eccetera.
E dopo tante chiacchere, eccovi la ricetta dello zio Giulio
con una mia piccola variante; io, infatti, sostituisco metà dei fichi con l’uva
sultanina per ottenere un ripieno più morbido e fondente.