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mercoledì 29 giugno 2022

Pasta con i tenerumi. Un must delle tavole estive palermitane

 


A Palermo non è estate se non sudi davanti ad un piatto di pasta con i tenerumi. Questi sono le foglie e i germogli teneri della Lagenaria longissima, una pianta rampicante che produce una zucchina affusolata e lunghissima che può raggiungere anche i due metri, e proprio per questo nota ai palermitani come ’a cucuzza luonga.

I tenerumi hanno un sapore dolce e delicato, proprietà diuretiche, un basso apporto calorico e un’alta digeribilità. È una verdura, insieme al suo frutto, ricca di vitamine e sali minerali.

Tante sono le ricette che si possono realizzare con questa verdura, ma, da palermitana DOC quale sono, vi propongo la ricetta della nostra tipica minestra. È gustosissima e la preparazione non richiede grande impegno, se non nel lavarne bene le foglie.

martedì 12 settembre 2017

Paccheri con bottarga e melanzane


Sul finire dell'estate, la luce del sole diventa nostalgica. Si posa sulle cose e sulle persone con stanchezza. Quando i suoi raggi ti raggiungono, in contrasto con l'aria fresca, ancora scaldano. Si prova una sensazione strana, di malinconia, come quando sai che stai per perdere qualcosa e non ci puoi fare niente. Allo stesso tempo, però, sai anche che presto ne troverai di nuove che non ti faranno più sentire quella mancanza.
Fatta questa premessa sul mio stato meteoropatico, se anche voi vi sentite così, ho da suggerirvi un piccolo rimedio: distraetevi con cose per voi piacevoli e attorniatevi di colori che vi fanno stare bene.
Io lo faccio anche in cucina e oggi, a tal proposito, vi voglio proporre la ricetta di un primo facile, colorato ma, al contempo, raffinato: i Paccheri con la bottarga e le melanzane.

venerdì 4 marzo 2016

'A pasta "a milanisa" o con l'anciova


A chi, come me, è nato e cresciuto a Palermo, sarà capitato almeno una volta nella vita di ritrovarsi di giorno tra i vicoli del centro storico. I panni stesi con le lenzuola che sventolano come grandi bandiere, i bambini che ancora giocano per strada, i gatti randagi che gironzolano sornioni alla ricerca di qualcosa da mangiare, gli odori dolci e pungenti che dalle cucine si riversano nelle strette strade tortuose e si diffondono prepotenti nell'aria, le donne che vocìano da finestra a finestra mentre spicciano i lavori di casa e, soprattutto, cucinano per il pranzo. “Pina, ma comu a fai a pasta st’innata? C’è un ciavuru!”. “Nie’, oggi fazzu cose spiccie. Staju facennu a Milanisa”.

Lo so cosa vi state chiedendo: una palermitana che fa la pasta alla milanese? Ebbene si! Dopo attimi di disorientamento che colpirono anche me la prima volta che lo sentii - non riuscivo a spiegarmi perché una palermitana avesse dovuto preparare la pasta come a Milano - mia nonna Nella mi spiegò che era la pasta con l'anciova[1], uno dei primi più famosi della cucina siciliana. Un piatto gustoso, fatto con le acciughe salate, l’estratto di pomodoro, passolina e pinoli[2] e la muddica atturrata (pangrattato tostato), il formaggio dei poveri.

Come per ogni ricetta, anche questa conosce diverse varianti più o meno simili e il suo nome è strettamente legato, come tutti i piatti tradizionali, alla storia, al territorio e alla sua gente.
Si narra, infatti, che questo piatto sia nato come alternativa, molto valida, alla ben più famosa pasta con le sarde, la cui preparazione era però limitata alla primavera e all'estate, stagioni durante le quali sono reperibili gli ingredienti freschi per realizzarla.

Un altro importante fattore era costituito dal costo molto elevato di uno degli ingredienti fondamentali del famoso primo, lo zafferano, che non tutti si potevano permettere. Venne così sostituito dall'astrattu (estratto di pomodoro) che conferiva alla nuova elaborazione un colore vagamente ambrato.

Ma torniamo all'origine del nome di questa non meno buona cugina della pasta con le sarde, fatta solo con prodotti di “conserva”, che hanno il duplice vantaggio di essere disponibili tutto l’anno e, soprattutto, sono non deperibili e facilmente trasportabili.
Queste caratteristiche hanno fatto ipotizzare ad alcuni studiosi delle tradizioni che la “pasta c’anciova” sia stata inventata dagli emigranti siciliani, i quali durante l’estate, nella propria terra d’origine, facevano incetta di una serie di cibarie che portavano nel freddo Nord e che cucinavano per non scordare i profumi e i sapori della Sicilia. Ecco il motivo per cui questo primo piatto, assolutamente siciliano ma inventato in terra straniera, viene appellato “alla milanese”; considerando anche che per lungo tempo in Sicilia si diceva Milano intendendo però tutto il nord Italia.
Adesso è arrivato il tempo di descrivervi la ricetta. Vi darò naturalmente la versione della mia famiglia che prevede l’uso del concentrato di pomodoro al posto dell’estratto e non considera l’uso del finocchietto selvatico, fortemente odiato da mio fratello Dario.

PS: a Palermo è quasi obbligatorio anche il formato di pasta da usare: o la margherita o il bucatino. Molti non transigono, ma io ho rotto la tradizione ed ho usato i rigatoni. Credetemi, connubio perfetto tra il sugo e la pasta.


Ingredienti (per 4 persone): 400 gr. di pasta del formato che più vi aggrada; 200 gr. di concentrato di pomodoro; 8 filetti di acciughe sott’olio o salate; 1 grossa cipolla; 2 spicchi d’aglio; 25 gr. di passolina e pinoli; 100 gr. di pangrattato; olio extravergine d’oliva, sale e pepe q.b.

Procedimento: In una padella in cui potrete poi mantecare la pasta, soffriggete a fuoco lento la cipolla e l’aglio tritati. Quando la prima sarà trasparente, unite i filetti d’acciuga e scioglieteli nell’olio con l’aiuto del cucchiaio di legno. A questo punto, aggiungete il concentrato di pomodoro, passolina e pinoli e un bicchiere di acqua calda. Fate cuocere per circa 20minuti, salando e pepando secondo il proprio gusto. Il sugo dovrà risultare ben stretto. Cuocete la pasta e, nel frattempo, tostate il pangrattato in un padellino antiaderente (alcuni lo fanno saltare con altro olio, io preferisco senza aggiungere condimenti in questo caso perché la salsa ne è già molto ricca). Scolate la pasta al dente e trasferitela nella padella insieme ad un paio di cucchiai d’acqua di cottura. Saltatela velocemente e servitela spolverizzando il piatto con un po’ di mollica atturrata, che servirete anche a parte.

Buone cose “milanesi” a tutti.


[1] L’acciuga o alice è un comunissimo pesce che popola le acque del Mediterraneo e vanta molte denominazioni dialettali e locali: viene infatti chiamata “lice” in Puglia, “sardon” dal Veneto alle Marche, “anciuia” in Liguria e “anciova” in Sicilia. Le alici vengono generalmente pescate tra il mese di marzo e quello di agosto, ovvero nel loro momento riproduttivo maggiore, durante il quale si avvicinano alle coste. Sono pesci poco ricercati ma molto gustosi e ricchi di nutrimenti importanti per il nostro organismo. Si prestano ad essere “conservate” sotto sale, sott’olio o marinate. La salagione delle acciughe deriva da un’arte antica di origine etrusca, basata su un procedimento in cui il sale viene alternato ad ogni strato di acciughe, in modo che i pesci alla fine risultino poco visibili

[2] La “passolina” è un’uvetta nera passita molto presente nella cucina della tradizione siciliana. Come suggeritomi dal mio erudito amico Giovanni Rallo, veniva aggiunta alle preparazioni per non fare avvertire l’uso di ingredienti non proprio freschissimi. Col tempo il suo uso è diventato una gustosa consuetudine che apporta una dolce ricchezza ai piatti.

giovedì 17 settembre 2015

La salsa di pomodoro fresco


In tempi passati era uso e costume preparare con i frutti dell’orto estivi le conserve per l’inverno. Uno dei protagonisti era - e resta - il pomodoro.
Il succoso e rosso ortaggio veniva trasformato in: chiappe (pomodoro secco); pelati; ‘strattu (estratto) e, naturalmente, in salsa. Non poteva mancare nella dispensa una consistente scorta del saporito sugo.
Ancora oggi qualche volenterosa massaia prepara “’a sarsa”, magari con il pomodoro raccolto nel proprio orto. Io sono tra queste, tanto che molte mie amiche e amici mi credono pazza.
Chissà forse lo sarò anche, ma la bontà di questo sugo è difficilmente paragonabile e, ancor meno, avvicinabile a quello delle commerciali passate.
La ricetta che fornisco di seguito è quella che ho imparato dalla madre di mia madre, la nonna Nella, donna raffinata, delicata disegnatrice e grande cuoca.
Nella era il suo soprannome, vezzeggiativo di Francesca. Il suo nome di battesimo era, in realtà, Francesca Margherita. Ma visto che prima nelle grandi famiglie si era soliti dare ai nascituri i nomi degli avi e spesso i cugini si chiamavano tutti allo stesso modo, per differenziarli ed evitare confusioni e scambi di persona, ai bimbi venivano assegnati dei soprannomi.
Dopo questa breve recensione familiare e brevissima storia delle tradizioni, passo all'argomento principale: la salsa di pomodoro che, peraltro, non è detto detto che la dobbiate necessariamente trasformare in conserva. Potete anche realizzarne quantità moderate e servirla con gli spaghetti o con il formato di pasta che più vi aggrada, magari aggiungendo delle melanzane fritte a cubetti e la ricotta salata creando una vera opera d’arte: “la pasta alla Norma”.

domenica 5 luglio 2015

Pic Pac. Un nome, un sapore


Dedicato alla donna che, insieme a mia madre, considero la più importante della mia vita: mia zia Cetti.

“Zia…”, chiamò a voce alta entrando nell'ingresso dell'enorme casa. “Ehi, Mollichina” – così la chiamavano dal giorno in cui Geen, un'amica di famiglia inglese, la chiamò Molly - rispose da lontano la voce della zia. Era il loro rito, ogni volta che la bimba arrivava. Il loro modo per riconoscersi e sancire il loro rapporto in modo esclusivo.

Poi la corsa nel lungo corridoio che portava alla cucina, che non era solo un'enorme stanza arredata e corredata di tutto quello che può servire per cucinare. Era il cuore pulsante della casa. Era il luogo del potere e dell’amore, era il posto dove si prendevano le decisioni importanti e il rifugio per le nidiate di figli delle tre sorelle. Una grande famiglia matriarcale, con donne dal fisico giunonico e col temperamento da amazzoni. Donne dure, abituate a lottare, non avvezze alle smancerie ma capaci di amare profondamente. E il loro amore, come la maggior parte delle donne del sud Italia, lo dimostravano attraverso il cibo, preparando specialità e manicaretti sempre diversi, apparecchiando quotidianamente conviti festosi e opulenti.

lunedì 11 novembre 2013

DOLCE NORMA

“Dolce Norma” è un dessert di mia invenzione e può essere definito come la trasposizione dolce del rinomato primo piatto siciliano.
Rappresenta bene la nostra isola perché vi sono utilizzate tutte materie prime che vengono prodotte nel nostro territorio. Ha peraltro un chiaro richiamo alla cultura siciliana, in particolare al mondo letterario e musicale, dal momento che il nome alla famosa ricetta sembra sia stato dato da Nino Martoglio, celebre commediografo catanese, il quale, davanti ad un piatto di pasta condito con pomodoro, melanzane fritte e ricotta salata, pare abbia esclamato: “È una Norma!”, ad indicarne la suprema bontà paragonandolo alla celebre opera di Vincenzo Bellini.
L’ho proposto per la prima volta alla serata culinaria organizzata a metà ottobre presso il Settimo Cielo di Menfi, durante la quale ha avuto un ottimo successo tra i presenti.
Dolce Norma
Il dolce è composto da strati alternati di: scorze di cannolo rotte, crema di ricotta poco zuccherata, composta di melanzane (confettura realizzata con melanzane viola – tunisine a Palermo – e aromatizzata con cannella, zenzero e cardamomo), di nuovo scorze e ricotta e, come ultimo strato, marmellata di pomodoro e pepe nero. L a preparazione viene infine decorata e profumata con una foglia di basilico.


P.S.: Devo pubblicamente ringraziare il mio caro amico e chef Antonio Genchi per il suo contributo fondamentale nell’ideazione di questa ricetta.