giovedì 22 dicembre 2016

A Capodanno non può mancare il pesce. Branzino con carciofi in sfoglia e salsa al caramello


Come ogni anno, le festività natalizie mi sussurrano il passato, suscitando in me un misto di nostalgiche emozioni, dolci e amare insieme. Per me sono il profumo della mia famiglia, un tempo grande e numerosa. Una famiglia matriarcale, con tante donne grandi cuoche e con gli uomini sofisticati gourmet. Già un mese prima si cominciava a dibattere sui menù da preparare, mai uguali da un anno all'altro e sempre con qualche novità da sperimentare, di solito portata dallo zio Roy. Ma c’erano alcuni must che non potevano mancare: i ravioli di carne fatti in casa con il ragù ai funghi della zia Cetti; le verdure in pastella di mia madre; il cappone ripieno dello zio Michele e la pignoccata della nonna Etta. Ma, soprattutto, non doveva mancare il pesce.
Nel tempo anche noi figli abbiamo preso parte al carosello delle preparazioni e così, qualche Capodanno fa, con estremo pudore – non avevo ancora molta esperienza ma, come adesso, grande passione - mi proposi per cucinare il pesce in un modo nuovo. L’idea suscitò curiosità e furono tutti felici che me ne volessi occupare io. Io ne fui onorata e mi buttai con fibrillazione nella preparazione. Il mio piatto ebbe grande successo in quel cenone e l’ho rifatto diverse volte sempre con il medesimo esito. Per questo voglio condividere con voi la ricetta del: Branzino con carciofi in sfoglia.

lunedì 19 dicembre 2016

Hors d’oeuvre nei bicchieri. Raffinatezza e gusto sulla tavola delle feste


Si approssimano le festività natalizie e siamo tutti in fibrillazione per la scelta dei menù e la preparazione di pranzi, cene e cenoni. Ho, dunque, pensato che vi avrebbe fatto piacere avere qualche suggerimento in merito.
Bene, vi propongo tre antipasti facili da realizzare, molto buoni e anche molto eleganti, adatti alle tavole imbandite dei prossimi giorni e non solo.
Queste ricette sono dedicate anche a chi segue una dieta senza carne: infatti, nelle coppette è contenuta un'insalatina di sedano e carote in agrodolce; nei tumblers, crudités con salsa allo yogurt greco e crema di barbabietola rossa alle noci; nei calici, invece, crema di avocado e gamberone.

lunedì 14 novembre 2016

La Cotognata. Un dolce dal sapore antico




"Attenta a quello che raccogli, quello è il frutto del peccato. È proibito prenderlo". E così, proprio per il sottile e viscerale piacere di infrangere le regole, con elegante determinazione,  allungò il suo bianco braccio e ne strappò uno.


Ma, in realtà, cos'è il peccato. Se tutto è relativo, anch'esso lo è; foss'anche solo per il semplice sillogismo che lo sostiene. Se è peccato: soddisfare le proprie pulsioni (sempre non facendo male ad altri); non accettare le regole come dogmi; non sottostare al potere (qualunque esso sia); non uniformarsi; sapersi porre dei dubbi, allora sono una peccatrice.

Si, lo sono, anche perché quel frutto l’ho colto e l’ho anche cucinato. E il risultato è stato un’eccellente cotognata.

Volete diventare dei bravi peccatori anche voi?
Ecco la ricetta. Quella antica.

martedì 16 agosto 2016

"C'è aria di tempesta" di Monica Cecere


Il lago è scuro stamattina, riflette il grigio del cielo. Un vento gelido increspa le acque di solito immobili dello specchio d’acqua. C’è aria di tempesta. Gli alberi intorno agitano le fronde, se li guardi da sotto sembrano tanti danzatori impegnati nella coreografia ripetitiva di un’antica danza asiatica. Se li guardi da sotto per un po’ di tempo potresti rimanerne ipnotizzato. Le anatre starnazzano chiamando a raccolta gli anatroccoli. I cigni si muovono lenti, si guardano intorno con aria aristocratica e sembrano infastiditi dallo schiamazzare degli altri pennuti. Nessuno però prende il volo. C’è aria di tempesta.

Anelli Mitologici


Il lago è scuro stamattina, riflette il grigio del cielo. Un vento gelido increspa le acque di solito immobili dello specchio d’acqua. C’è aria di tempesta. Gli alberi intorno agitano le fronde, se li guardi da sotto sembrano tanti danzatori impegnati nella coreografia ripetitiva di un’antica danza asiatica. Se li guardi da sotto per un po’ di tempo potresti rimanerne ipnotizzato.

sabato 14 maggio 2016

La "Frittella" palermitana


Per prima cosa è giusto specificare che, nonostante il suo nome, in questa preparazione della tradizione palermitana non c’è niente di fritto. L’origine del nome si perde nel passato, possibilmente il termine che usiamo oggi è una storpiatura di quello vero. Fatto sta che, a Palermo “frittella” è sineddoche di uno squisito stufato di verdure.

Per tradizione si cucina il giorno di San Giuseppe (19 marzo) che coincide con l’inizio della primavera, fondendo così la celebrazione dei riti religiosi ai riti pagani.

La frittella la possiamo definire come la sintesi della Primavera nel piatto. È la celebrazione dei frutti che la terra ci offre in questo periodo: fave, piselli, carciofi e cipollotti freschi, legati insieme da una soluzione agrodolce di aceto e zucchero, retaggio della cucina araba. Esiste anche una variante ennese che prevede l’aggiunta del finocchietto selvatico.

Senza l’agrodolce può diventare anche un ottimo condimento per la pasta, aggiungendo qualche fogliolina di menta o di prezzemolo.

Anche per questo piatto vale la regola secondo cui “ne esistono tante versioni quante sono le famiglie che la preparano”. Ecco la mia.

venerdì 4 marzo 2016

'A pasta "a milanisa" o con l'anciova


A chi, come me, è nato e cresciuto a Palermo, sarà capitato almeno una volta nella vita di ritrovarsi di giorno tra i vicoli del centro storico. I panni stesi con le lenzuola che sventolano come grandi bandiere, i bambini che ancora giocano per strada, i gatti randagi che gironzolano sornioni alla ricerca di qualcosa da mangiare, gli odori dolci e pungenti che dalle cucine si riversano nelle strette strade tortuose e si diffondono prepotenti nell'aria, le donne che vocìano da finestra a finestra mentre spicciano i lavori di casa e, soprattutto, cucinano per il pranzo. “Pina, ma comu a fai a pasta st’innata? C’è un ciavuru!”. “Nie’, oggi fazzu cose spiccie. Staju facennu a Milanisa”.

Lo so cosa vi state chiedendo: una palermitana che fa la pasta alla milanese? Ebbene si! Dopo attimi di disorientamento che colpirono anche me la prima volta che lo sentii - non riuscivo a spiegarmi perché una palermitana avesse dovuto preparare la pasta come a Milano - mia nonna Nella mi spiegò che era la pasta con l'anciova[1], uno dei primi più famosi della cucina siciliana. Un piatto gustoso, fatto con le acciughe salate, l’estratto di pomodoro, passolina e pinoli[2] e la muddica atturrata (pangrattato tostato), il formaggio dei poveri.

Come per ogni ricetta, anche questa conosce diverse varianti più o meno simili e il suo nome è strettamente legato, come tutti i piatti tradizionali, alla storia, al territorio e alla sua gente.
Si narra, infatti, che questo piatto sia nato come alternativa, molto valida, alla ben più famosa pasta con le sarde, la cui preparazione era però limitata alla primavera e all'estate, stagioni durante le quali sono reperibili gli ingredienti freschi per realizzarla.

Un altro importante fattore era costituito dal costo molto elevato di uno degli ingredienti fondamentali del famoso primo, lo zafferano, che non tutti si potevano permettere. Venne così sostituito dall'astrattu (estratto di pomodoro) che conferiva alla nuova elaborazione un colore vagamente ambrato.

Ma torniamo all'origine del nome di questa non meno buona cugina della pasta con le sarde, fatta solo con prodotti di “conserva”, che hanno il duplice vantaggio di essere disponibili tutto l’anno e, soprattutto, sono non deperibili e facilmente trasportabili.
Queste caratteristiche hanno fatto ipotizzare ad alcuni studiosi delle tradizioni che la “pasta c’anciova” sia stata inventata dagli emigranti siciliani, i quali durante l’estate, nella propria terra d’origine, facevano incetta di una serie di cibarie che portavano nel freddo Nord e che cucinavano per non scordare i profumi e i sapori della Sicilia. Ecco il motivo per cui questo primo piatto, assolutamente siciliano ma inventato in terra straniera, viene appellato “alla milanese”; considerando anche che per lungo tempo in Sicilia si diceva Milano intendendo però tutto il nord Italia.
Adesso è arrivato il tempo di descrivervi la ricetta. Vi darò naturalmente la versione della mia famiglia che prevede l’uso del concentrato di pomodoro al posto dell’estratto e non considera l’uso del finocchietto selvatico, fortemente odiato da mio fratello Dario.

PS: a Palermo è quasi obbligatorio anche il formato di pasta da usare: o la margherita o il bucatino. Molti non transigono, ma io ho rotto la tradizione ed ho usato i rigatoni. Credetemi, connubio perfetto tra il sugo e la pasta.


Ingredienti (per 4 persone): 400 gr. di pasta del formato che più vi aggrada; 200 gr. di concentrato di pomodoro; 8 filetti di acciughe sott’olio o salate; 1 grossa cipolla; 2 spicchi d’aglio; 25 gr. di passolina e pinoli; 100 gr. di pangrattato; olio extravergine d’oliva, sale e pepe q.b.

Procedimento: In una padella in cui potrete poi mantecare la pasta, soffriggete a fuoco lento la cipolla e l’aglio tritati. Quando la prima sarà trasparente, unite i filetti d’acciuga e scioglieteli nell’olio con l’aiuto del cucchiaio di legno. A questo punto, aggiungete il concentrato di pomodoro, passolina e pinoli e un bicchiere di acqua calda. Fate cuocere per circa 20minuti, salando e pepando secondo il proprio gusto. Il sugo dovrà risultare ben stretto. Cuocete la pasta e, nel frattempo, tostate il pangrattato in un padellino antiaderente (alcuni lo fanno saltare con altro olio, io preferisco senza aggiungere condimenti in questo caso perché la salsa ne è già molto ricca). Scolate la pasta al dente e trasferitela nella padella insieme ad un paio di cucchiai d’acqua di cottura. Saltatela velocemente e servitela spolverizzando il piatto con un po’ di mollica atturrata, che servirete anche a parte.

Buone cose “milanesi” a tutti.


[1] L’acciuga o alice è un comunissimo pesce che popola le acque del Mediterraneo e vanta molte denominazioni dialettali e locali: viene infatti chiamata “lice” in Puglia, “sardon” dal Veneto alle Marche, “anciuia” in Liguria e “anciova” in Sicilia. Le alici vengono generalmente pescate tra il mese di marzo e quello di agosto, ovvero nel loro momento riproduttivo maggiore, durante il quale si avvicinano alle coste. Sono pesci poco ricercati ma molto gustosi e ricchi di nutrimenti importanti per il nostro organismo. Si prestano ad essere “conservate” sotto sale, sott’olio o marinate. La salagione delle acciughe deriva da un’arte antica di origine etrusca, basata su un procedimento in cui il sale viene alternato ad ogni strato di acciughe, in modo che i pesci alla fine risultino poco visibili

[2] La “passolina” è un’uvetta nera passita molto presente nella cucina della tradizione siciliana. Come suggeritomi dal mio erudito amico Giovanni Rallo, veniva aggiunta alle preparazioni per non fare avvertire l’uso di ingredienti non proprio freschissimi. Col tempo il suo uso è diventato una gustosa consuetudine che apporta una dolce ricchezza ai piatti.