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lunedì 20 novembre 2023

Pasta cu i vruocculi arriminata - Pasta con i broccoli in tegame

Prima di passare alla descrizione della ricetta di questo gustosissimo primo piatto palermitano, vorrei fare una premessa “linguistica”.

Che i Siciliani, e in particolare i Palermitani, abbiano un abito mentale ‘nturciuniatu (contorto) – i dotti lo descriverebbero filosofico – è indubbio. Noi le cose semplici le facciamo diventare complicate, così per non annoiarci. Pure in questa ricetta, usiamo il termine “broccolo” ma intendiamo

martedì 31 ottobre 2023

La Frutta Martorana

 

Scatola con Frutta Martorana (Ph: Monica Cecere)

La tradizione dolciaria in Sicilia è antica quanto la storia dell’isola ed è, come tutta la gastronomia siciliana, un melting-pot di ingredienti, tecniche e preparazioni lasciateci in eredità dalle tante dominazioni.

Già in epoca etrusco-romana venivano preparati dei dolcetti di mandorle da offrire alle divinità, ma la ricetta del marzapane come la conosciamo noi, fatta con farina di mandorle dolci, albume d’uovo e zucchero, risale al XIII-XIV secolo.

Il nome deriva dall’arabo Mauthaban o Marzaban, unità di capacità in uso a Cipro ed in Armenia. Come per l'anfora, per la giara o per la botte, divenne consuetudine chiamare con lo stesso nome il contenitore tarato sulla misura. Era una scatola di legno leggero dotata di un coperchio e veniva utilizzata per usi diversi. Per racchiudere la corrispondenza o i documenti importanti, ma anche per spedire speciali dolci prodotti a Cipro, confezionati con farina di mandorle ed altri ingredienti. Questi erano a forma di pani e dato che prendevano la forma della scatola, il nome dell'involucro passò al contenuto.

Nella storia della gastronomia, la più antica e famosa preparazione fatta con il marzapane è la Frutta di Martorana, che vide la luce ufficialmente a Palermo, nel convento omonimo annesso alla chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio. Con il marzapane le suore confezionavano per la festa di Ognissanti piccoli dolci, che imitavano meticolosamente frutti d'ogni tipo dai colori vivacissimi, ottenuti grazie alla gomma arabica che permetteva di fissare le tinte vegetali derivanti da rose, zafferano, pistacchio e altri vegetali. Questi prelibati dolcetti pare fossero molto apprezzati da Ruggero II Re di Sicilia e, in quanto degna di re, la pasta di mandorle in Sicilia cominciò ad essere appellata “pasta reale”.

venerdì 31 gennaio 2020

Marmellata di Mandarini Siciliani



Nelle mattine invernali, all'inizio del giorno quando ancora il sole non splende alto, l’aria è rarefatta e pungente. La Conca D’Oro inizia ad illuminarsi e la sua luce è incantevole. In giardino l’odore forte della terra umida si mescola al profumo intenso degli agrumi. Pendono dagli alberi come addobbi natalizi, con i loro colori sgargianti in mezzo a sfumature di verdi accesi. Immersi in un’atmosfera fiabesca, bambini, io e mio fratello, rimaniamo ammaliati a sentire il suono della natura che ci avvolge.
I miei preferiti sono i mandarini, lucidi, arancioni, aromatici e dolci. Li guardo pendere fieri della loro bellezza che attrae: “Prendimi! Prendimi!” sembrano sussurrare e mi fanno pensare alle sirene di Ulisse che sto studiando a scuola. “Mamma, possiamo?”. Autorizzati con un cenno, ci fiondiamo a cercare i frutti più belli per riempire la cesta che nostra madre ci ha dato; ma prima è obbligo farne una sostanziosa scorpacciata.
Questi ricordi di qualche tempo fa, mi sono stati evocati da un gradito regalo che mio fratello mi ha fatto qualche giorno fa: un cesto colmo di mandarini appena raccolti. Alcuni li ho mangiati subito, gli altri li ho trasformati in buonissima marmellata. Eccovi la ricetta, semplice, veloce e genuina.


Ingredienti: 1 kg di mandarini (già nettati e pronti alla cottura); 1 kg di zucchero semolato; un pizzico di sale; il succo di mezzo limone.
Procedimento: Sbucciate i mandarini. Da metà delle scorze eliminate con un coltellino l’albedo - la parte bianca – perché potrebbe conferire un gusto troppo amaro alla conserva. Tagliate i mandarini in sottili fette in un piatto, così da non perderne il succo, e rimuovete i semi (le ossa, diremmo a Palermo, dove non si sa per quale ragione ai frutti vengano associati termini anatomici…ma questa è un’altra storia). Riponete tutti gli ingredienti in una pentola, meglio, ça va sans dire, se di rame, e fate cuocere per circa 15 minuti su fiamma vivace. Trascorso questo tempo, tritateli con un frullatore ad immersione tanto quanto vi sembra necessario (tutto dipende da come preferite la texture della marmellata). Continuate a cuocere per altri 10 minuti o fin quando il liquido di cottura scenderà ad intermittenza, e non a filo, dal cucchiaio. Spegnete il fuoco e invasate rapidamente, avendo cura di riporre i vasetti sottosopra così da far sterilizzare il coperchio. Rigirateli dopo 5 minuti e lasciate raffreddare avvolti da una “manta”, conosciuta da i non siculi come coperta.

La marmellata è pronta per essere gustata come più vi piace, anche con i formaggi aromatici come i pecorini al pepe o allo zafferano.
Buone cose genuine e odorose a tutti!

martedì 25 settembre 2018

Il Parfait di Mandorle


A Palermo è un must e, credo, sia il dolce più imitato della pasticceria palermitana. Stiamo parlando del principe dei dessert: il Parfait di Mandorle.

La storia del parfait comincia a corte di Luigi XIV grazie al pasticcere del re, il quale, dopo innumerevoli esperimenti riesce ad ottenere “una crema mai vista: morbida, vellutata e totalmente priva di granelli di ghiaccio” (da: “Il Pasticcere del Re” di A. Cappella). Questo dolce freddo e spumoso si diffuse anche in Italia e, naturalmente, in Sicilia terra di nascita del sorbetto e del gelato.

Il Parfait di Mandorle è ben più giovane. Questo straordinario dolce, infatti,  vide la luce negli anni Sessanta grazie ai fratelli Salvatore e Francesco Paolo Cascino. I due grandi chef palermitani lo crearono in occasione di un banchetto organizzato per il principe Paolo di Castelcicala presso il loro rinomato ristorante La Botte di Monreale. Il dessert originariamente venne chiamato “Alì Pascià”, dato che il semifreddo venne servito all'interno di un “turbante” di croccante di mandorle caramellate e definito da una colata di cioccolato caldo.
Come ha raccontato il maestro Maurizio Cascino, figlio di Salvatore, “I semifreddi facevano già parte della cucina classica e furono mio zio Francesco Paolo e mio padre Salvatore a portarli in Sicilia e presumibilmente, nel meridione. Il primo gusto che realizzarono negli anni ‘40, personalizzando la ricetta, fu di caffè (al ristorante Extrabar Olympia di piazza Politeama a Palermo). Per la preparazione dell’Ali Pascià si variarono alcuni procedimenti ed ingredienti e si aggiunse un tocco di sicilianità con le mandorle di Avola caramellate, versando poi sul semifreddo dell’ottima cioccolata calda”.
L’Alì Pascià divenne nel tempo il dolce preferito in tutti i periodi dell’anno, sdoganando così la stagionalità dei dessert freddi.

E dopo tante parole eccovi la mia ricetta del Parfait di Mandorle, realizzata con le uova pastorizzate così da non avere eventuali problemi per l’utilizzo di questo ingrediente a crudo.

lunedì 18 dicembre 2017

Il Buccellato

Che ci fossero quaranta gradi all’ombra o il vento di tramontana che taglia la faccia, lui arrivava sempre con la sua vecchia bicicletta nera. Ne scendeva lentamente e la legava con la catena al piccolo palo del lampione che avevamo sotto casa.

Aveva ottant’anni lo zio Giulio. Era uno dei fratelli di mio nonno, un uomo alto, ligneo e parlava poco e lemme. Sorrideva spesso. Aveva un sorriso strano però. Mostrava tutti i denti, però li teneva stretti come se ringhiasse. Io lo ricordo sempre vecchio, ma con una forza fisica incredibile per un uomo della sua età.

Lo vedevo arrivare dalla finestra, lo aspettavo perché ogni volta che veniva a casa nostra ci insegnava a preparare delle vere leccornie palermitane. E in un lontano mese di dicembre imparai a fare il buccellato: un bauletto di friabile pasta frolla che nasconde un ripieno morbido  di frutta secca, cioccolato fondente, agrumi e spezie. Un dolce rustico ma degno di re e regine, tanto che nel medioevo i vassalli lo omaggiavano ai signorotti (per chi fosse interessato alla storia del buccellato si veda: Taccuini Storici).

Si prepara per le feste natalizie in tutto il palermitano, ma la “conza” - il ripieno, per i non oriundi - varia a seconda della località in cui viene prodotto: con i fichi, con l’uva sultanina, con la composta di zuccata e mandorle, eccetera.

E dopo tante chiacchere, eccovi la ricetta dello zio Giulio con una mia piccola variante; io, infatti, sostituisco metà dei fichi con l’uva sultanina per ottenere un ripieno più morbido e fondente.

lunedì 13 novembre 2017

Busiate alla carrettiera


Tra i piatti della cucina popolare siciliana, la pasta alla carrettiera è un primo profumato, facile, economico e che spesso può togliere dagli impicci quando non si ha idea di cosa cucinare.

Si narra fosse il piatto principe del pasto dei carrettieri, praticamente gli antenati degli autotrasportatori, che avevano sempre nel loro tascapane, la pasta, delle acciughe salate, una forma di pane casereccio, aglio e olio, cioè tutti ingredienti facili da trasportare e non facilmente deteriorabili.
La ricetta che voglio condividere è stata arricchita con piccole varianti personali. Ecco come realizzarla.

lunedì 10 aprile 2017

Dita degli Apostoli


Ho notato che più avanti vai negli anni più ti affiorano alla mente ricordi piacevoli, molti dei quali sono legati al cibo e a ciò che rappresenta. E così qualche giorno fa, in occasione di un invito a cena, volendo preparare un dolce, ho ripescato nei meandri della mia memoria un dessert che avevo avuto la fortuna di assaggiare tanti anni fa presso la pasticceria Scimone di Palermo: le “Dita degli Apostoli”.

Facendo una piccola ricerca storica ho scoperto che questo delizioso dessert, oggi molto diffuso in Puglia, non è originario della Sicilia ma nasce a Bagnara Calabra nel convento di Santa Maria e dei SS. Apostoli dove i monaci, devoti si San Tommaso, lo preparavano in occasione della Pasqua per ricordare il gesto del santo di mettere un dito nella piaga del costato di Gesù perché incredulo della sua resurrezione. Era una sorta di stretto cannolo bianco e morbido (che, per l’appunto, ricorda la forma del dito) farcito con una crema al cioccolato a simboleggiare il sangue di Cristo.

Nell’alto Medioevo, questi conventuali, arrivarono in Sicilia a seguito dei Longobardi che avevano fondato una colonia tra i Nebrodi ed i Peloritani, dove ora sorge Novara di Sicilia. Qui nel 1171, Santo Ugo fondò L’Abbazia di Santa Maria Nucaria, prima edificazione cistercense dell’isola. Con loro portarono tutte le loro conoscenze e tradizioni, anche quelle culinarie. E così le Dita degli Apostoli si diffusero in quella parte di Sicilia, dove però la crema di cioccolato venne sostituita con quella di ricotta.

Devo ammettere, che ancora oggi non è un dolce molto noto nella parte occidentale dell’isola e la loro tradizione rischia di perdersi, provocando, data la loro bontà, un grosso buco nero nell'arte pasticcera.
La mia ricetta è frutto di sperimentazione. Si tratta di morbide crespelle ripiene di crema di ricotta e panna, definite con zucchero a velo e cannella. L’ho elaborata basandomi sul dolce che avevo mangiato e devo dire che il risultato è stato eccellente. La voglio condividere con voi per due motivi: uno è perché non si perda la tradizione; l’altro perché è troppo buono per non mangiarlo almeno una volta nella vita.

Ingredienti (per 10 persone): Per le crespelle: 1 uovo; 1 cucchiaio raso di zucchero; un pizzico di sale; 80 gr. di farina 0; 20 gr. di farina di riso; 100 ml di latte; 200 ml di panna fresca; 1 bustina di vanillina. Per la crema: 350 gr. di ricotta di pecora; 200 ml di panna fresca; 8 cucchiaini di zucchero; un pizzico di vanillina. Per definire: zucchero a velo e cannella in polvere.

Procedimento: Per prima cosa mettete a scolare la ricotta, anche la sera prima, in modo che sia ben asciutta. Preparate le crespelle, mescolando bene tutti gli ingredienti fino ad ottenere un impasto omogeneo. Cuocetele, a fiamma molto moderata, in una padella di 22 cm di diametro velato di burro. Dovete fare attenzione alla cottura perché le crepes devono risultare bianche. Man mano che sono pronte disponetele in un piatto alternate a fogli di carta forno, utile a non farle attaccare fra di loro ma che vi servirà anche da guida per avvolgere il cannolo.
Conclusa questa operazione, dedicatevi alla crema. Lavorate la ricotta con 4 cucchiaini di zucchero fino a che non sarà ben liscia. Montate la panna con il rimanente zucchero e la vanillina. Unitevi la ricotta, aiutandovi con una spatola, con movimenti lenti ma decisi dal basso verso l’alto. Ora siete pronti per assemblare tutti gli ingredienti.
Mettete sul ripiano una crespella alla volta e, con un sac à poche senza bocchetta, farcitela fino a metà. Adesso arrotolatela a formare un cilindro. Avvolgetelo nella carta forno su cui l’avete poggiato. Quando avrete realizzato tutte le vostre “dita”, riponetele in freezer per almeno tre ore.
Prima di servirle, fate delle sezioni di cilindro effettuando dei tagli obliqui (come da foto). Riponete le “dita” in un piatto da portata e spolverizzatele con zucchero a velo e cannella.


Può sembrare complicata, ma in realtà è una ricetta semplice da realizzare e pure comoda perché, visto che vanno congelate, si possono fare con largo anticipo.
Questa versione palermitana delle “Dita degli Apostoli” non ha niente a che vedere, dunque, con la ricetta originale delle Dita degli Apostoli. È molto più delicata, eterea. A detta di chi le ha assaggiate sono una vera delizia paradisiaca ed io non posso fare altro che confermarne il giudizio.

Buone cose soavi a tutti!

Suggerimenti: la farina di riso è facoltativa, serve a dare una maggiore morbidezza alla crespella, ma può essere sostituita con la stessa dose di farina 0.

Per poterle gustare al meglio, servitele dopo 10 – 15 minuti che le avete portate fuori dal freezer. Otterrete una sorta di semifreddo che, sciogliendosi piano in bocca, esprimerà al meglio il suo sapore.

venerdì 24 febbraio 2017

Pasta con le patate a minestra


Uno degli ingredienti più diffusi in qualsiasi cucina del mondo sono le patate. Anche quella siciliana non si esonera e annovera tanti piatti tipici in cui vengono impiegate: “a sfincione”; glassate; “a gattò”.

La patata è un tubero generalmente liscio, picchettato da germogli in nuce che sembrano piccoli occhi. Tanto che, quando mi appresto a sbucciarle, ho come l’impressione di essere osservata da tanti sguardi languidi, speranzosi di non essere spenti. Ma, lo sapete bene, la cucina è un ambiente violento, pieno di coltelli pronti a sferzare il loro taglio mortale. È un duro lavoro, soprattutto se vuoi preparare una delle specialità della cucina tradizionale palermitana: la pasta con le patate.

Non vi confondente, non è la “pasta alla glassa”, bensì una minestra molto densa. Gli chef stellati, la definirebbero "risottata". Per me, il termine corretto è “maccusa”. L’ho imparata dalla mia mamma e oggi la voglio condividere con voi.