Dedicato alla donna che, insieme a mia madre, considero
la più importante della mia vita: mia zia Cetti.
“Zia…”, chiamò a voce alta entrando nell'ingresso
dell'enorme casa. “Ehi, Mollichina” – così la chiamavano dal giorno in cui Geen, un'amica di famiglia inglese, la chiamò Molly - rispose da lontano la voce
della zia. Era il loro rito, ogni volta che la bimba arrivava. Il loro modo per
riconoscersi e sancire il loro rapporto in modo esclusivo.
Poi la corsa nel lungo corridoio che portava alla
cucina, che non era solo un'enorme stanza arredata e corredata di tutto quello
che può servire per cucinare. Era il cuore pulsante della casa. Era il luogo
del potere e dell’amore, era il posto dove si prendevano le decisioni
importanti e il rifugio per le nidiate di figli delle tre sorelle. Una grande
famiglia matriarcale, con donne dal fisico giunonico e col temperamento da
amazzoni. Donne dure, abituate a lottare, non avvezze alle smancerie ma capaci
di amare profondamente. E il loro amore, come la maggior parte delle donne del
sud Italia, lo dimostravano attraverso il cibo, preparando specialità e
manicaretti sempre diversi, apparecchiando quotidianamente conviti festosi e
opulenti.