Oggi
fa tanto “cool” andare in giro per il mondo a provare lo street food - il cibo di strada -
padre naturale del più moderno fast-food. Inutile dirvi che in Sicilia, dove
siamo sempre avanti, lo facciamo da secoli: il fast-food, praticamente, lo
abbiamo inventato noi. Lo so, starete pensando che sono una campanilista
terrona, un’estremista del pensiero terrone… Be’, forse un fondo di verità c’è,
la certezza però sta nel fatto che io amo follemente la mia terra e soprattutto
la mia città: Palermo, una vecchia signora sdraiata tra un monte (Pellegrino) e
il mare, nobile, indolente, magnifica nonostante i marcati segni del tempo, che
ancora emana una forte aura, memoria dei suoi splendori liberty e di tutta la
sua antica storia.
Ma
prima che attacchi un malinconico trattato di infinite pagine sulla bellezza di
Palermo, torniamo al cibo di strada. Inutile chiedervi chi ce lo ha lasciato in
eredità perché la risposta è quasi retorica: gli Arabi. Proprio nella ricetta
delle panelle però si ravvisa anche l’influenza dei
francesi, pare infatti siano stati gli Angioni ad introdurre il panormita alla
frittura. Le panelle insieme ai “cazzilli” (crocché di patate
dall’inconfondibile forma da cui prendono il nome) formano uno dei binomi più
riusciti nella storia della gastronomia tradizionale. “Manciarisi‘u bellu pani chi panielli e
i cazzilli” è per il palermitano una soddisfazione – anzi come direbbe
qualcuno “una soddispazione”, il grupposf in palermitano si trasforma in “sp” – insieme a tante altre leccornie del genere
street food: pani ca’ meusa, stigghiole, frittola, sfincionello, arancine con
tutto il seguito della sua famiglia, la “rosticceria”. Le caratteristiche del
cibo da strada palermitano sono essenzialmente due: la prima è che “se non ti
ungi almeno le mani” stai affrontando male la battaglia; la seconda, deve
essere “abbannìato”. L’urlo sincopato del venditore panormita è una
delizia per le orecchie dei passanti, attratti da lui come Ulisse lo fu dalle
sirene. Come dire, insomma, che non è solo il gusto del cibo a dare a queste
prelibatezze culinarie l’intenso sapore.
Bando alle ciance da
campanile, ecco la ricetta di queste sfiziose frittelle di farina di ceci.
Ingredienti:
500
gr. di farina di ceci; 1, 5 l. d’acqua; 2 cucchiaini da caffè colmi di sale;
pepe q.b.; prezzemolo; finocchiu ‘ngranatu (grani di finocchietto selvatico)
facoltativo; olio di semi per friggere.
Procedimento:
Porre
la farina di ceci in una pentola capiente e, versando l’acqua fredda a filo,
scioglierla. Sbattere il composto con una frusta (oppure frullarlo qualche
secondo con il frullatore ad immersione) eliminando tutti gli eventuali grumi,
aggiungere il sale e il pepe. Mettere la pentola sulfuoco e lasciare cuocere a
fiamma media, mescolando continuamente, fino a quando non diventerà una densa
polenta. Continuare a cuocere per altri 5 minuti circa, la polentina dovrà
sfregolare sul fondo, aggiungendo il prezzemolo tritato (e “u finocchiu
‘ngranatu”,se lo si gradisce). Spegnere e, aiutandosi con il cucchiaio di
legno, versare il composto in un grande contenitore precedentemente bagnato
all’interno con dell’acqua o unto con un po’ di olio di semi (prima
dell’avvento della plastica, si usavano allo scopo le latte dell’olio di semi).
Lasciare raffreddare completamente, sformare il panetto di ceci e tagliarlo in
modo da ottenere delle fette di circa 2-3 millimetri di spessore: si devono
realizzare dei rettangoli di una dimensione tale da poter essere comodamente
messi all’interno dei panini. Friggere le panelle nell’olio ben caldo per pochi
minuti, avendo l’accortezza di farle dorare da entrambi i lati. Estrarle con la
schiumarola e metterle in una piccola teglia con della carta paglia. Salare
ulteriormente e scuoterle per eliminare l’unto in eccesso e far distribuire
bene il sale.
Non
resta che prenderle e portarle alla bocca, natùre o con un po' di sale e limone, dentro il
pane o da sole: “e biri chi manci”!!!
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