Ora posso affermare che il signor Pippo, il gelataio, segnò
il mio destino, come anche lo segnò la puzza di caramello bruciato dell'aria
che usciva dalle ciminiere.
Capii che mangiare gelati era una passione e che
innamorarsi od odiare un espositore con le vaschette di allumino rettangolari o
i misteriosi pozzetti cilindrici con il tappo circolare lucido o il gesto di
mantecare ancora un po’ il gelato con la paletta prima di metterlo sul cono era
una forma di ribellione con la quale si può contravvenire anche alle regole
imposte dalla religione.
Capii anche che i ricordi, specie quelli fatti di
particelle oleose pesanti che, non riuscendo a disperdersi in cielo, ricadono a
terra appiccicandosi dove più gli conviene, tetti, foglie, pelle, anime, sono
pericolosi. Capii ancora che ricordi oleosi e il sapore di ribellione della
solitudine assorta con cui un gelato deve essere mangiato, mai si alleano e mai
si pareggiano, anzi lottano tra loro prevalendo continuamente l'uno sull'altro,
restituendosi senza soluzione di continuità la supremazia. Allora si è
impantanati tra l'andare e il restare, tra l'adeguarsi e il rompere, tra la
famiglia e il viaggio. In una parola diventa impossibile prendere una decisione
perché la convinzione che l'ha generata dura il tempo di un'alba o di un
tramonto.
Nessun commento:
Posta un commento