venerdì 5 luglio 2013

"Il ragù di carne" di Vanessa Siebezzi

Era troppo tempo che non lo faceva più. Eppure doveva essere come andare in bicicletta, nuotare o fare l'amore: una volta che hai imparato non ti dimentichi più. O forse era solo il pensiero che per la prima volta l'avrebbe fatto per un'altra persona, e non per se stessa, a preoccuparla.
Fare il ragù di carne per lei aveva l'importanza di una cerimonia. Le verdure andavano tritate con la mezzaluna, ad una ad una, cominciando dal gusto più delicato; prima la carota, poi il sedano e poi la cipolla perché gli aromi non dovevano mescolarsi sul tagliere ma dopo, nel soffritto, rigorosamente in olio extra vergine di oliva. E solo quando il soffritto era morbido e dorato al punto giusto si metteva a rosolare la carne. E anche la carne era meglio batterla al coltello personalmente.
La carne...negli ultimi anni era diventato sempre più difficile procurarsi la carne giusta. Metà manzo e metà maiale, come le aveva insegnato sua nonna. Il manzo dava struttura, fibra e morbidezza all'impasto, il grasso del maiale rafforzava il gusto e amalgamava gli ingredienti l'uno nell'altro.
Metà manzo e metà maiale, la caratteristica di un buon ragù era la stessa di un buon amante...sorrise del suo pensiero e anche se lo specchio le restituiva l'immagine di una donna di 76 anni riconobbe nel suo sguardo e nella figura sottile, irrigidita dagli anni, il fascino di un tempo. Capitava che gli uomini le sorridessero ancora con galanteria, a volte con malizia, ma la passione che aveva suscitato e provato tante volte, quella che brucia, che tiene svegli la notte, che tende i muscoli e illumina lo sguardo...quella ormai non c'era più. E insieme alla passione se n'erano andate anche la voglia e l'abitudine di preparare il ragù. Senza passione non era stata mai capace di fare nulla. Per questo i suoi amori erano sempre finiti quando la passione si esauriva.
Secondo lei la fine di una relazione meritava la stessa cura, la stessa eleganza e lo stesso impegno che si infonde nel suo inizio, ma questo non lo capiva nessuno, e allora aveva creato il suo rituale personale di chiusura: quando sentiva che un amore stava per finire dava un taglio netto( e preciso), poi preparava il ragù e invitava gli amici, vecchi e nuovi. Aveva sempre preferito assaporare il gusto dolce e malinconico del ricordo, condividerne il piacere con la sua tribù di anime affini, che scivolare nel sapore sciapo e amaro della routine di coppia.
Anche la ragazza che abitava al piano di sopra era come lei, non poteva vivere un amore tiepido, senza passione, ma non lo sapeva ancora.  La sentiva trascinarsi in quella relazione logora in cui i litigi erano sempre di più e i sospiri di piacere, le risate sempre di meno. Aveva deciso che per lei avrebbe cucinato il ragù di carne e le avrebbe poi insegnato la ricetta.
Si vestì, aveva molte cose da fare. Comprare le verdure, il triplo concentrato, rigorosamente triplo, le spezie (una spolverata di noce moscata e un pizzico di cannella, il pepe in grani da mettere in cottura in un sacchettino di tela bianca e da macinare fresco poi, nel piatto) e la cosa più difficile...la carne. Controllò il filo dei coltelli. Doveva passare anche dall'arrotino.
Prima di uscire per il giro di commissioni salì al piano di sopra e invitò la ragazza, solo lei, a cena per il venerdì seguente. Lui non c'era, al mercoledì sera andava in palestra e sarebbe rientrato trascinando i piedi sui gradini, un paio d'ore più tardi. Lo sapeva benissimo, come tutti i maschi era piuttosto abitudinario.
Ce l'aveva fatta. Era perfetto. L'aveva cotto a lungo, a fuoco basso, con delle pause, che permettono al gusto di sedimentare, il colore era invitante, il profumo inebriante, la cannella e la noce moscata facevano il loro effetto senza dichiarare la loro presenza e la carne si era rivelata ottima, ancora una volta ci aveva visto bene. Quando il campanello suonò buttò le tagliatelle. La pasta l'aveva comprata già fatta, della cucina amava l'aspetto alchemico, non quello meccanico.
Fece accomodare la sua ospite di fronte a lei e servì in tavola. La ragazza mangiava in silenzio. “Brava! è così che si fa” - pensò.
Dopo qualche boccone appoggiò la forchetta - “è buonissimo signora, cosa c'è dentro?”
Rispose quello che aveva sempre risposto a chi irrimediabilmente glielo chiedeva - “ Qualche spezia, molta pazienza e ciò che resta di una grande passione”
La ragazza la guardò con un'espressione sorpresa, quasi dubbiosa. Poi assaporò un altro boccone.
Anche lei sapeva di dover fare una domanda, si fece forza con una forchettata abbondante, era proprio buono! - “il suo fidanzato come sta, signorina?”
“Non lo vedo da un paio di giorni” - rispose quasi distratta la ragazza. Assaporò il boccone successivo ad occhi chiusi. Lentamente. Quando li riaprì il suo sguardo era di nuovo vivo, brillante e languido. Sorrise dolcemente all'anziana signora, finirono di mangiare in silenzio e iniziarono a parlare d'altro.

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