Eccomi solo. Solitudine agognata, cercata, trovata, amata,
odiata. Lei è partita portandosi dietro la sua allegra risata, il leggero
fruscio dei suoi passi, dei suoi piccoli piedi rinchiusi in quelle ballerine
nere di peluche, da lei adorate da me detestate. Fuori comincia a fare buio,
vedo il crepuscolo dalla finestra, accendo la luce. La spengo all'istante. È
troppo evidente lo spazio vuoto lasciato da lei. È troppo “vuoto”.
“E’ pronto, vieni a
tavola” – mi ha detto dolcemente all’orecchio avvicinandosi da dietro. Ho
tolto gli occhiali, mi sono alzato senza dire niente. Non ho resistito ad
abbracciarla. Mi ha baciato. Gli occhi chiusi. L’ho addossata al muro, sentivo
la pressione delle sue dita sui muscoli dorsali, mi stringeva come se volesse
inchiodarmi a sé, con una gamba mi avvolgeva nelle sue spire da donna serpente.
Abbiamo fatto l’amore. Ieri sera non abbiamo scopato, abbiamo fatto l’amore e
mi sono stupito perché da tempo non capitava. E ho avuto in quel momento una
fottuta doppia paura: averla e perderla. Avrei voluto che sparisse subito dopo,
invece no. Era lì, ancora. Ci siamo seduti a tavola e, parlando e ridendo di
noi sulle note di un vecchio disco jazz avuto in eredità da mio padre,
consumato la cena: costata di vitello – “Non
la tagli con l’affettatrice, per favore, e le fette spesse alte almeno un dito”,
mi riecheggia ancora nelle orecchie la raccomandazione fatta al macellaio con
voce gentile ma determinata di chi sa il fatto suo – con patate al forno
insaporite con la gialla curcuma e il profumato cumino accompagnate da un’insalata
di stagione condita con vinaigrette all’arancia, il tutto innaffiato da un
Morellino di Scansano – “Si abbina
benissimo alla carne”- mi aveva detto tra gli scaffali dell’enoteca di
Trastevere dove c’eravamo ritrovati girovagando quel pomeriggio. Dopo cena
abbiamo sparecchiato insieme, continuando a prenderci in giro con le nostre
battute pungenti ed ironiche. E mentre poi lei riordinava la cucina e lavava le
stoviglie, riconquistavo la mia postazione nel salone per riprendere il lavoro
lasciato a metà. L’ho sentita entrare in camera dopo un po’, muoversi leggera
tra le sue e le mie cose. Ha preparato con calma la valigia, fatto la doccia. “Vado a letto”- ha detto. “Ok”- ho risposto laconico, sperando
fosse solo un incubo la sua voce e di non trovarla sotto le coperte. Era lì,
invece. Ancora. Fermo sulla porta guardavo le curve del suo corpo sotto le
lenzuola. Mi piace guardarla dormire, sembra una bambina in quella posizione
fetale, sempre sul fianco destro, le mani giunte vicino al viso e la gamba
sinistra piegata un po’ più verso di sé. La testa, le mani, il gomito, i
fianco, il ginocchio e i piedi sembrano disegnare i punti cardinali di una
costellazione. Entro in cucina, bevo un bicchiere d’acqua - lo bevo sempre
prima di andare a dormire - spengo la luce e vado a letto. Sento il suo calore
e non posso non abbracciarla, le passo il braccio intorno alla vita
sollevandola leggermente, si sveglia mi prende l’altra mano se la porta al seno
con un gesto dolce e si riaddormenta dopo avermi sussurrato “buonanotte”. Sento
che riprende il suo respiro regolare, lento, con la bocca leggermente schiusa.
Mi addormento che è quasi l’alba ascoltando i suoi sogni.
Ora c’è silenzio invece e sto già morendo per risentire il
suo rumore.
Inserito nel reading tra Camilleri e Pirandello, temevo suscitasse qualche imbarazzo furtivo ...e invece è stato tutto tranne che "silenzio"!
RispondiEliminaGrazie Ila Maltese.
RispondiEliminaMi piace...
RispondiEliminaGrazie Anonimo :)
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