L’Aggrassu - in
italiano Agglassato o Carne alla glassa - è un
ricco stracotto di manzo e si può forse considerare come il principe dei secondi
piatti a base di carne della cucina palermitana.
Nei tempi, non molto remoti peraltro, in cui non era proprio scontato
che si facessero tre pasti al giorno, l’Aggrassu era una ricetta della
tradizione domenicale delle famiglie per due motivi: il primo, la carne
rappresentava un lusso e dunque si poteva comprare solo per santificare il
pranzo della domenica e non di tutte; il secondo, perché con la glassa, la
salsa che si ottiene da questa cottura, “si
ci campava ‘na simana”, nel senso che veniva usata per
tante altre preparazioni: per condire la pasta, per fare le uova arriminate (strapazzate), per la zuppa
di pane duro, per apparecchiare le
patate, fritte o bollite che fossero.
La carne alla glassa è un classico anche della tradizione gastronomica
napoletana, perché questo piatto è retaggio dei cuochi di quello che fu il
Regno delle Due Sicilie, tra il 1816 e il 1861, e di cui Palermo fu la prima
Capitale.
I Monzù (o Monsù) – traduzione dialettale siciliana e napoletana della
parola Monsieur - erano i capocuochi delle case nobiliari siciliane e campane.
Questi chef, che in genere non erano d’oltralpe, ebbero la capacità di creare una nuova cucina siciliana,
ricercata e raffinatissima, inserendo elementi francesi nei piatti della
tradizione.
Anche il termine aggrassatu, in italiano agglassato, non deriva, come
farebbe pensare la parola, da “grasso” ma molto più verosimilmente dalla
locuzione francese “à la glace”, cioè guarnito con salsa lucida.
Inutile ripetere che anche per questa ricetta esistono tante varianti
per quante sono le famiglie siciliane in tutto il mondo, ognuna con la sua
peculiarità e con i suoi “segreti”. Quella che segue “è chidda ra me pignata”.
Ingredienti:
1 kg. di lacerto (magatello o girello[1]);
1 kg. di cipolle bianche; olio extra vergine d’oliva; burro; sale e pepe;
rosmarino; ¼ di bicchiere di vino bianco o di marsala secco; 2 carote; qualche
grano di pimento; un pezzetto di stecca di cannella; qualche ago di rosmarino e
un chiodo di garofano (questi aromi li utilizzo per “caratterizzare” la
preparazione ma sono facoltativi, interscambiabili e sostituibili in base al
proprio gusto).
Procedimento:
Mettete in una casseruola dai bordi alti tutti gli ingredienti,
tranne il sale, e ricoprite con acqua. Fate raggiungere il bollore a fiamma sostenuta.
A questo punto, abbassate il fuoco e lasciate cuocere per almeno tre ore. A
metà cottura aggiungere il sale.
Trascorso il tempo indicato o quando la carne sarà
molto morbida, spegnete il fuoco, estraete la carne e lasciatela intiepidire
avvolta in un foglio di alluminio prima di tagliarla a fette.
Nel frattempo preparate il contorno. Sbucciate,
lavate e tagliate le patate in grossi spicchi. Asciugatele bene con un
canovaccio e friggetele in abbondante olio d’oliva. Man mano che sono pronte,
scolatele con una schiumarola e mettetele in una teglia con della carta da
cucina. Cospargetele con il sale e scuotetele rapidamente ma con grazia per
togliere l’unto in eccesso e distribuire bene il sale.
Riducete in purè la salsa con un frullatore ad
immersione. Adagiate le fette di carne su un piatto da portata, irroratele con
la “glassa” molto calda e
contornatela con le patate fritte.
Consiglio: la “glassa” che
rimane usatela per condire agnolotti, spaghetti, per fare un risotto o per quant’altro
vi ispiri, ma non lasciate che si perda. Sarebbe un vero peccato... di gola.
[1] Io, in verità,
mi faccio dare dal “carnezziere”, così vengono chiamati a Palermo i macellai,
un tocco di secondo taglio come il girello di spalla o una parte del collo
perché, anche se un po’ meno bello da presentare, essendo più grasso è più
gustoso e morbido.
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